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venerdì 10 maggio 2013

Fabio A. Grasso Sul MuSt e i luoghi della cultura a Lecce






L’arte di costruire le città. Fra restauri e progetti:
il volto di una  città che cambia
Fabio A. Grasso

L’amore ai tempi del colera è come dire la cultura ai tempi della spending review. Scrivo questo per appagare subito il più comune dei luoghi e accontentare quei lettori che non possono fare a meno di offrire il loro tributo (a non si sa bene cosa) senza andare mai oltre quello che è solo un personale rito di lamentazione. Di logiche o, se preferite, strategie di intervento, in un momento come l’attuale, in cui il rapporto fra limitatezza delle risorse e attività culturali non è mai stato così conflittuale, si è avuto uno scambio di idee con il presidente della Provincia di Lecce, dott. Antonio Gabellone, e il Direttore del MUseo STorico della Città di Lecce (MUST) l’architetto Ninì Elia. Quello che è emerso dalle conversazioni è l’impegno e il tentativo delle Istituzioni che essi presiedono di procedere in questa loro attività offrendo qualità e servizi ai cittadini nonostante le ristrettezze economiche. La punta di diamante dell’attività della Provincia, almeno a Lecce, è rappresentata dal Museo “Sigismondo Castromediano” e dalla Biblioteca “Nicola Bernardini”; il primo ha sede in Viale Gallipoli la seconda in Piazza Giosuè Carducci; il MUST ha sede nell’ex Convento di santa Chiara ed è, ove non fosse già chiaro, di competenza comunale. Queste tre strutture sono chiamate in causa naturalmente nella costruzione dell’immagine futura di città e Provincia e lo saranno ancora maggiormente alla luce della candidatura di Lecce a città della Cultura del 2019. Sempre di più, quindi, si parlerà di luoghi e cultura e di cultura dei luoghi cercando definizioni, differenze, il modo di raccontarli anche con il sacrificio, dove necessario, di qualche luogo comune. A scardinarne uno, per esempio, ci hanno già pensato i miei interlocutori nel momento in cui hanno dato corso ad una serie di interventi indirizzati a favorire quei fenomeni di scambio e contaminazione necessari a che un’attività possa definirsi culturale. Un altro luogo comune a venir meno è il binomio - Lecce e Barocco, Barocco e Lecce - sentito, ripetuto, cantato e decantato ossessivamente quasi come un mantra. Non di solo Barocco, non di solo storia (la solita storia), non di solo passato (il solito passato) si vive, almeno non nel modo in cui siamo abituati. Da qualche tempo la direzione del Museo Provinciale è stata affidata all’architetto Massimo Evangelista e le differenze rispetto alla precedente gestione si vedono e sentono. Abbiamo solo da augurarci che l’operazione continui perché questa fase di riorganizzazione, fondata su efficienza e chiarezza delle regole, è il presupposto necessario per mettere a sistema le esperienze e le sollecitazioni provenienti dalla realtà locale e globale. Il caso del MUST, aperto il 20 aprile del 2012, appare, poi, con ancora più singolare evidenza. Nato come un museo “tradizionale” sulla storia della città si sta trasformando anche in “museo della cittadinanza”. Non è solo un giocare con le parole, ovvio. Nel suo essere “anche della cittadinanza”, infatti, c’è tutto l’interesse ad aprirsi alla città, al territorio, a chi ci abita bene e chi vorrebbe abitarci meglio. Definiteli, se volete, utenti, consumatori, fruitori, fatto sta che quando si chiama in causa la qualità del vivere è meglio dare la priorità alla figura dei cittadini intesi come soggetti prima ancora che come oggetti della rappresentazione della città; e quando si parla di organizzazione di attività culturali è meglio non ragionare più in termini di eventi eccezionali come può essere una “grande mostra”. Così facendo, infatti, l’attenzione si sposta sull’obiettivo di elevare il livello medio di un patrimonio culturale che è tale anche perché costituito dalle persone che ci abitano tutto l’anno. Da un punto di vista pubblicitario, poi, questa sembra una scelta altrettanto corretta, perché avere una città dove si vive bene trova i migliori pubblicitari negli stessi cittadini e i migliori slogan nelle frasi e nei racconti di chi ci vive. Non è facile, e non può esserlo, perché quella intrapresa dal Comune di Lecce al MUST e dalla Provincia non è una strada semplice, né rettilinea, né sarà immune da risultati sui quali si potrà e dovrà discutere per migliorarne gli effetti. Sulla base di queste premesse il “giovane MUST” si prepara a modificare l’idea stessa di “movida” (brutto termine diventato anch’esso un luogo comune, altro ancora da scardinare). In questi ultimi anni l’attenzione della pubblica amministrazione si è rivolta a diversi edifici pubblici storici destinandoli ad attività culturali, due fra tutti: l’ex convento dei Teatini e il castello (i cui restauri sono ancora in corso). Quest’ultimo rispetto alla città ha una, storicamente fondata e un tempo necessaria, frattura la quale ancora oggi, benchè trasformata, è sancita soprattutto dal viale Venticinque Aprile che con il suo traffico isola la fortezza più del vecchio fossato. Anche il complesso dei Teatini ha in sé una sorta di barriera psicologica nei confronti di ciò che lo circonda e continua ad essere un contenitore da riempire, un bello senz’anima direi, per il quale il processo di trasformazione in fulcro culturale non si è ancora concluso e non certo per mancanza di idee ed attività svolte. Partire da quest’esempio, quello dei Teatini, aiuta a capire meglio il caso del MUST dove si è creata quella che mi pare l’esatta combinazione di spazi, progettualità gestionale, collocazione urbana; una cosa simile sta accadendo pure, e già lo si percepisce, per il complesso di San Francesco della Scarpa ovvero la Biblioteca provinciale. Quella del MUST è forse la prima volta in cui lo spazio pubblico entra all’interno di un edificio trasformandolo: la “movida” non è più solo in strada ma si sposta all’interno di un luogo che, seppure nato come spazio chiuso e privato, diventa adesso pubblico, anzi, pubblico a maggior ragione. Concetto di per sé paradossale quello dell’esternità dell’interno (e del suo contrario) ma che, ne sono consapevole, farebbe piacere al visitatore per eccellenza di questa Terra a quel “Pellegrino di Puglia” che fu Cesare Brandi. Non appaia sopra le righe ma questo curioso binomio dal sapore tutto barocco (nel senso più geometrico del termine) di forme (spazi ed eventi) che si evolvono fra il concetto di interno ed esterno si ripropone al MUST allorchè questo edificio, i suoi spazi interni (chiostri e stanze), vogliono diventare il punto di riferimento e di incontro fra cittadini, soggetti economici e istituzioni, fra il territorio che fu, quello che è, e quello che sarà. Vorrei fare un esempio rabbiosamente irriverente ovvero mettere a confronto le sculture di Cosimo Carlucci, esposte in modo permanente al MUST, con le opere che oggi la cosìdetta architettura d’avanguardia realizza con grande clamore di pubblico e seguaci; ebbene, tutto ciò farebbe riflettere su quello che questo territorio ha dato e sperare per quello che potrebbe dare ancora. Altro sarebbe da dire, ovvio, ma adesso è meglio fermarsi nel chiostro del MUST osservandone gli alberi e l’allungarsi lento delle loro ombre. Gli spazi, così come i tempi, dell’attesa sono importanti tanto quanto quelli del movimento.


Su il Paese nuovo di giovedì 9 maggio 2013

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